top of page

Uscire dal fango per rimettersi in viaggio

  • cammaratamilena
  • 15 ott 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 8 gen 2021

Che idee hanno le persone dell' "andare dallo psicologo"? Se le persone dovessero utilizzare una metafora, un'immagine, per esprimere la propria idea sull' "andare dallo psicologo", quale sceglierebbero? "Più o meno come andare da un medico" oppure "Come la rete per un trapezista del circo", sono alcuni esempi di affermazioni che ho sentito ultimamente. Alla luce di questo, segue un'altra riflessione: che idea hanno le persone del "paziente" che va dallo psicologo? Quali sono i "sintomi" di una persona che ha bisogno dell'aiuto di uno psicologo? Quanto "gravi" devono essere questi "sintomi" perché una persona chieda un primo appuntamento?

Io ho l'impressione che, nonostante il passare del tempo e in qualche modo il diffondersi dei riferimenti alla figura dello psicologo nei social media, l' "andare dallo psicologo" non sia ancora così semplice come sembri o meglio, credo che sia spesso una decisione difficile e alcune volte anche sofferta da chi quella chiamata allo psicologo "deve" farla, in qualche modo proprio alla luce dell'idea che quella persona ha dell' "andare dallo psicologo" e di cosa questo possa comportare nella propria vita.


ree

Mi affascina sempre la prima chiamata con un nuovo "cliente[1]: di solito emerge che c'è stato un tempo tra il momento in cui la persona ha, in qualche modo, sentito di aver bisogno di rivolgersi ad uno psicologo e il momento in cui ha composto il numero e, di solito, questo è un tempo ricco, con dei significati importanti, anche per il percorso che si farà insieme proprio in terapia. "Perché ora? Perché si rivolge a me proprio adesso? Cosa si aspetta da me terapeuta e dalla terapia?". Sono domande che mi pongo quando inizio a lavorare insieme ad una nuova persona e questo apre sempre delle riflessioni interessanti.

Parto dal presupposto che "ogni passo è una scelta; ogni scelta è un passo" e, alla luce di questo, cosa favorisce quel primo passo, ossia il primo contatto con uno psicologo? Dal mio punto di vista, anche tenendo in considerazione l'approccio teorico a cui faccio riferimento, le persone si muovono nel mondo alla luce dell'anticipazione delle implicazioni delle proprie scelte.

Cosa può implicare per la persona la scelta di rivolgersi allo psicologo? Le risposte variano ovviamente in base al singolo, ma più in generale ritengo che la persona possa scegliere di iniziare un percorso psicologico nel momento in cui anticipa che questa scelta sarà utile, o necessaria, o a volte l'ultima spiaggia dopo tanti altri tentativi, per uscire dalla situazione di blocco e di stallo in cui si sente e rimettersi così di nuovo in movimento.

È proprio con questi occhi che vedo la persona che mi racconta di avere un "disturbo" psicologico. A questo proposito, mi è utile proporre una metafora che mi è stata insegnata e che mi aiuta a trasmettere quello che intendo: il cliente che ha un "disturbo" è come una ruota che si è impantanata nel fango, che continua a girare, ma non riesce ad uscire da sola da quel fango e, alcune volte, questo movimento sembra quasi controproducente, al punto che la ruota affonda sempre di più e al punto che una via di uscita sembra difficile, se non impossibile. Dal mio punto di vista professionale, quella ruota non si trova in quel fango "per sbaglio" o "per sfortuna". Anche se può risuonare un po' altisonante, credo infatti che quel fango sia, in quel momento e per quella specifica persona, preferibile rispetto ad altro, ma genera comunque sofferenza e quindi il desiderio è, comprensibilmente, quello di uscire da lì... ma per andare dove? Forse, pur sentendo fatica o dolore, quel fango è perlomeno conosciuto e, in qualche modo, meno spaventoso della meta che si intravedeva all'orizzonte e che non era più possibile raggiungere.

Il lavoro nella stanza della terapia, sulla scia della metafora di cui sopra, ha pertanto come scopo principale la "rimessa in strada" di questa ruota, verso una direzione che sia possibile. Colloquio dopo colloquio, si comprende quali siano state le scelte che hanno portato la ruota/persona al punto in cui si è trovata, ma soprattutto quali sono gli scenari futuri, gli orizzonti, che la persona anticipa e che hanno reso quella direzione non più percorribile, al punto da rendere necessario (e paradossalmente preferibile) l'uscita dalla carreggiata e l'impantanarsi nel fango. Una volta che questa comprensione è più chiara si iniziano a costruire "tragitti" diversi da quelli anticipati fino a quel momento, verso i quali la ruota/persona può tornare a mettersi in cammino.

Mi piacerebbe che l' "andare dallo psicologo" possa essere visto con questi occhi: come l'occasione per poter sperimentare qualcosa di utile per uscire dal fango in cui ci si sente e rimettersi in viaggio, su tragitti percorribili e verso orizzonti possibili.

[1] alla luce del mio approccio teorico di formazione, ossia la Psicoterapia Costruttivista, è preferibile parlare di "cliente" piuttosto che di "paziente", proprio per allontanarsi da una prospettiva medica

Commenti


Post: Blog2_Post

333 4068092

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn

©2020 di Studio di Psicologia e Psicoterapia. Creato con Wix.com

bottom of page